Il
tredicesimo arcano dei Tarocchi è un arcano spesso frainteso e che
incute un certo timore perché viene
istintivamente associato ad eventi drammatici.
In realtà non indica
lutti o disgrazie, questo fraintendimento deriva dal fatto che
l'immagine che vediamo rappresentata è un chiaro richiamo
all'immagine iconografica della morte. Questa
carta è l'unica fra gli arcani maggiori a non avere il nome, ciò è
imputabile
a questioni scaramantiche, come se la morte fosse qualcosa che si ha
paura di nominare ma
non solo, per me dietro
la scelta di non dire
il nome di
questo arcano si cela qualcosa di più profondo. Il
nome è ciò che ci definisce, ci distingue dagli altri, è la nostra
identità.
Il
fatto di non avere nome richiama
la necessità di un grande lavoro sull'identità.
È il momento in cui ci troviamo a chiederci chi siamo veramente.
Nella
carta vediamo ritratto uno scheletro con una falce che miete un campo
in cui ci sono mani, piedi e teste coronate che
ci suggeriscono che attraverso
un lavoro nella nostra natura profonda siamo pronti a lasciar andare
i vecchi modi di pensare e
di
agire.
Il
tredicesimo arcano dei Tarocchi pur
richiamando l'idea della morte
“non rappresenta
una morte statica, uno stato definitivo, ma una morte dinamica,
annunciatrice e strumento di una nuova forma di vita”. (1)
Questo arcano è senza nome, senza volto, senza corpo, gli rimane solo lo scheletro che rappresenta ciò che in lui è essenziale e puro, la sua struttura interiore.
Questo arcano è senza nome, senza volto, senza corpo, gli rimane solo lo scheletro che rappresenta ciò che in lui è essenziale e puro, la sua struttura interiore.
La
colonna vertebrale ricorda il collare dell' Imperatore proprio a
sottolineare l'idea della struttura e della necessità di costruire
qualcosa di interiore. Anche a livello numerologico vi è un
collegamento con L'Imperatore (1+3=4).
Il significato di questa carta è legato a una grande trasformazione, un
cambiamento radicale e una rinascita in
cui ridefiniamo chi siamo.
Questo
Trionfo ci spinge a rinunciare a ciò che non ci serve o non ci
appartiene più e che intralcia la nostra crescita. Ci chiede di
abbandonare le dipendenze, le credenze che ci limitano donandoci la
possibilità di ottenere una maggiore libertà.
Una
trasformazione così profonda può però non essere indolore ed è
solo attraverso la separazione da vecchi schemi comportamentali che
si potrà accedere a una nuova fase della vita, a una reale
opportunità di liberazione e rinnovamento.
(1)
Jean
Chevalier, Dictionnaires des Symboles, Robert Laffont, 1988.
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